È tutta la settimana che gravito intorno a questo post che non so iniziare e che ha cambiato focus nella mia mente non so quante volte: doveva parlare della mia vita, delle cose che sono cambiate nell’ultimo paio di mesi – il ritorno in cattedra, la strana caduta nel limbo del mio lavoro di traduttrice – poi dell’odio profondo che provo per la versione attuale del web (scatenato dal tentativo frustrante di tirare fuori un layout passabile da qualche tema gratuito di wordpress) e soprattutto dell’inerzia che non riesco a scrollarmi di dosso per quanto siano anni, ormai, che mi sprono a farlo. Di come la scrittura sia al centro di questo. Di come la vergogna sia un mostro vischioso che raggiunge ogni angolo di me con i suoi tentacoli infiniti e strozza ogni idea sul nascere. Insomma. Tutte cose urgenti, e vere.
Ma mentre avevo il file di word aperto, forse per procrastinare, forse per senso di colpa o per caso, ho deciso di guardare un breve video sul lutto inviato da un’amica e sono passata dall’annuire intenta seguendo il discorso dello speaker a livello intellettuale al singhiozzare in silenzio pensando a Sabrina. Una reazione del tutto imprevista e così improvvisa, viscerale, che mi ha costretto a guardare in faccia una realtà imbarazzante: dopo tre anni quasi pieni, ancora non ho elaborato minimamente la sua morte.
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