I am running into a new year
Lucille Clifton
and i beg what i love and
I leave to forgive me.
Stamattina quando ho aperto le persiane nevicava: un nevischio leggero e sottile, che da lontano – da dentro – sembrava quasi polvere, quella dolce della neve asciutta. Mi sono chiesta se si sarebbe fermata. Qualche ora dopo è cominciato un picchiettare discreto sul vetro del lucernario, ho alzato lo sguardo e capito che era pioggia. La neve è già sparita del tutto, ora. In un altro momento mi sarebbe sembrato triste, quest’anno è distante anche questo: ogni segno, ogni presagio. Come se fosse tutto già accaduto, anche quello che aspetta nel futuro.
Di solito amo questo giorno dell’anno. Amo la fine e l’inizio, la demarcazione precisa tra ciò che è stato e ciò che può ancora essere, tra ciò che hai fatto, giusto o sbagliato che fosse, e quello che dovrai abbozzare. Come aprire un quaderno nuovo e premere la penna in alto sulla prima pagina. Un foglio bianco. Una coltre di neve. Qualcosa da scrivere.
Quest’anno è diverso. La prima dolcezza, forse – malinconica, lieve –, è che non lo sia del tutto, che lo sia meno di quando mi sono messa a letto ieri sera e ho sentito lo sconcerto assoluto della demarcazione che mancava, di un finale che cadeva troppo vicino a un altro molto più vero e assoluto, di un inizio che non avrebbe potuto inaugurare niente, pensavo, anche se un po’ mi ero aggrappata alla data: stimolo più che promessa.
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